Del Tacere
Enoch Eliau S.I.I. Gran Maestro Aggiunto

Il mio iniziatore spesso mi ripeteva che dei 4 verbi che il Mago andava utilizzando il più difficile da applicare era il TACERE. Non ci credevo. In effetti, più in là, compresi, che aveva ragione; poiché, mago o non mago, comunque nell'ambito nostro spesso si verifica, ma sotto l'egida del "in fin di bene" quello che un "custode dei misteri" quali noi riteniamo di essere dovrebbe evitare: il "parlare" che non significa "dire".
In uno dei nostri rituali in grado di A:I: viene indicato, onde poter essere applicato, che la nostra parola somiglia al Verbo e quindi se utilizzata per fini positivi diviene "creatrice e taumaturgica" al contrario "distruttrice e generatrice di disordine": il rito quindi poi dà le direttive pratiche per poi applicare la parola nel giusto modo durante il nostro quotidiano vivere.
Tutto questo ci viene dato con una semplicità applicativa che qualche volta sembra troppo semplice, tanto, che si tende a dimenticarcene; oppure è il nostro torpore che vigila sui tentavi del nostro risveglio e la fa franca.
L'esercizio che ci veniva proposto una volta neonati nel N:::V:::O::: era quello di parlare il meno possibile, oppure prima di farlo contare mentalmente fino a trenta; l'esercizio di sicuro funzionava poiché, in quel tempo di attesa, i pensieri quantomeno venivano sostituiti da altri di altro tipo; così, nel passaggio successivo ?ove mai si riusciva a tanto- il nostro Iniziatore proponeva l'osservazione di questi: cosa assai ardua da applicare quanto semplicissima da teorizzare; comunque il fatto di ridurre il parlare fisico era una conquista e potevamo a ben pensare di sentirci tutt'uno col sentiero iniziatico e avrebbe indotto via via le nostri parti interiori ad aderire a questo cambiamento.
Ci saremmo sentiti migliori o comunque migliorati. Spesso ci veniva indicato di "fare come se..." Anche se... Come ci veniva spesso ricordato da Nebo Gran Maestro Passato "Noi siamo alla buona, molto alla buona, però dobbiamo accontentarci di quello che siamo", un po' come quello che rispose Martinez alla famosa domanda di L.C.de Saint Martin. "Maestro, ma per pregare Dio necessitano tutte queste cose?" "Accontentiamoci di quello che abbiamo..."
Qual'è infatti la nostra cartina da tornasole? Riuscire ad applicare dapprima le cose semplici che riguardano lo stare all'interno del nostro Ordine che poi rispecchia il nostro stato interno, e, alla lunga, l'Ordine esterno diverrà un Ordine tutto interiore. Sì è vero, siamo tutti da capire, da comprendere, siamo in rodaggio; ma come non avere un fraterno sorriso interiore quando assistiamo all'intervento di chi parla dei massimi sistemi iniziatici non rispettando magari la lunghezza canonica delle 2 cartelle perché le supera abbondantemente? Oppure assistere all'intervento magari istruttivo di chi prende la parola con un altro segno del grado o senza collare?...
Ecco se non si parte con le cose semplici, evitando il parlottìo durante i lavori o peggio ancora evitando il parlare di corridoio, credo che il nostro frastuono dettato dal nostro ego non permetta la tiepida serenità del nostro lavoro in comune, e vieppiù da soli.
Ecco, sono dell'avviso che basta porre attenzione alle cose semplici senza farci distrarre da troppe alchimie da troppe cabale per poter far il nostro lavoro, qualunque esso sia, con decenza;
il nostro lavoro, qui dentro, non può portare a spasso i nostri "quotidianismi"; perché già sappiamo che da monaci combattenti, il nostro lavoro principia proprio quando terminano i nostri lavori e siamo chiamati nel mondo a tentare di dare il nostro contributo al mondo.
Quindi, da iniziati ai misteri, è vero proprio il contrario. E' qui che si trova refrigerio per poter ritemprare le forze necessarie che poi dovremo utilizzare all'esterno; e giammai portare il nostro esterno qui dentro "Procul, o procul este, profani" grida la Sibilla per noi. Che non significa strettamente che tutto ciò che non fa parte di un Ordine sia privo di luce, anzi; ma è la nostra profanità all'interno di questo consesso quando essa trasuda, (ammesso che trasudi) che dovremmo abbandonare o almeno allentare: sia qui che altrove: sempre.
La mia esperienza pluridecennale di Gran Cerimoniere dell'Ordine mi ha fatto comprendere che il silenzio si diparte dalle cose semplici e visibili (per questo oso parlarne); la base è il corpo fisico; da qui si comincia. Se non si ha l'umiltà di comprendere questo purtroppo ci diverrà difficile gestire tutto il resto. Voi non avete idea del frastuono prodotto dalle "gambe incrociate" di un componente la catena o di un altro che partecipava per tutta la durata dei lavori senza collare. Sì, sì, so tutto... So che è più importante l'uomo del sabato! Ma allora, se riuscissimo a tanto, dovremmo avere la capacità di aprire i lavori nudi o quanto meno senza i vestiari dedicati al rito... Io so che chi accetta la rituaria con tutti i suoi paramenti, deve conoscere la legge delle corrispondenze: come in alto così in basso; nei piani sottili non c'è più la pacca sulla spalla il volémose bene tanto taumaturgico e giustificativo; ci sarà un riferimento rigoroso del nostro assetto. Sto per concludere la seconda cartella con il mio ego che vorrebbe continuare a esprimersi e l'Enoch Eliahu che ha deciso di fermarsi proprio qui:

"Non criticate né mormorate contro alcuno. Chiunque critichiate, la vostra critica è diretta al Signore stesso"
Sai Baba 1988-89